ABORTO ED EMBRIONE NELLA CULTURA GRECA

venerdì 13 giugno 2008

EMBRIONE E ABORTO NELLA CULTURA GRECA 1


Empedocle di Agrigento (492-432 circa)
I PHISIOLOGOI O PRESOCRATICI (scuola ionica ed eleatica V-IV a.e.v.)

Negavano che il feto prima della separazione dall'utero fosse un essere animale. Sostenevano che l'anima entrasse nel corpo umano al momento della nascita, con il primo atto respiratorio. Prima di allora il feto era considerato parte delle viscere della donna che lo aveva in grembo. Questa fu in particolare l'opinione di Empedocle.
Plutarco, Scripta Moralia, 41.1 : "Ritiene (Crisippo) che il feto sia per natura nutrito dall'utero come una pianta (Empedocle); che poi quando è partorito, investito dall'aria (Diogene) e temprato, muti respirazione (Empedocle): onde non impropriamente l'anima(psychè) sia così chiamata dal raffreddamento(psuxis)".

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SOCRATE (ATENE 469-399a.e.v.)

Socrate(figlio di una levatrice) non si espresse mai in maniera diretta sul tema dell'aborto e della natura dell'embrione, ma da quanto Platone gli fa dire in un passo del Teeteo(149 c-d), si può evincere che per lui l'aborto rientrasse tra le ordinarie mansioni delle levatrici e l'assenza di qualsiasi riserva morale su questa pratica.
Platone, Teeteo 149 c-d : " E non è vero, anche, che le levatrici dando farmaci e cantilenando possono stimolare le doglie, e, renderle, se vogliono più deboli, e pure far partorire quelle che hanno difficoltà e, se ritengono di dover abortire il nuovo essere, lo abortiscono? "


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PLATONE (ATENE 427-347 a.e.v.)
Neppure lui si è mai pronunciato espressamente sulla questione della natura dell'embrione. Tuttavia, un passo di Tertulliano lo annovera tra i seguaci della teoria dell'animazione postnatale: "Questo sostengono ...e talora lo stesso Platone, quando dice che l'anima, essendo totalmente estranea e bandiata dall'utero, entra nell'infante che nasce con il primo atto respiratorio così come esce con l'ultimo respirto" (Tert. De anima 25.2). Del resto, la nozione platonica di anima come sostanza distinta e assolutamente indipendente dal corpo, che preesiste ad esso fin dall'inizio dei tempi è congruente con l'idea che l'anima entri nel nuovo corpo soltanto al momento della nascita.
Platone si dichiara apertamente favorevole all'aborto come mezzo di pianificazione familiare e di continemento delle dimensioni della popolazione. Nella sua repubblica ideale, il numero dei cittadini deve essere controllato, affinché la popolazione non risulti né troppo grande, né troppo piccola e soprattutto sia costituita di individui il più possibile sani e di buone qualità psichiche e morali. Per inciso: si tratta di eugenetica, ma non di eugenetica per così dire nazista, perché lo scopo di Platone non è di creare una razza superiore destinata a dominare sulle altre, ma semplicemente di realizzare l'ideale della "kallipolis" il quale non può prescindere dalla bellezza e dalla perfezione dei singoli individui che compongono la cittadinanza. Questo controllo sulla popolazione deve avvenire prima tutto attraverso il controllo sui matrimoni. La procreazione deve avvenire soltanto in matrimoni legittimi, sanzionati dal diritto della città, tra persone reciprocamente idonee, quando sono nell'età del maggiore vigore fisico e mentale(20-40 per le donne, fino a 50 per gli uomini). Però, dopo aver adempiuto il loro dovere riproduttivo, gli individui di entrambi i sessi devono essere liberi di avere rapporti sessuali con chi vogliono (esclusi i parenti stretti con cui vi sarebbe incesto), ma escludendo assolutamente la procreazione. Se da qualcuna di queste relazioni non procreative derivasse un concepimento, secondo Platone, dovrebbe essere eliminato con l'aborto e, se questo mezzo non praticabile (es. perché la gravidanza è in fase troppo avanzata e il tentativo di aborto potrebbe risultare letale per la donna) o comunque risulti inefficace, il neonato deve essere soppresso o esposto.
Platone, Repubblica 460c-461c: "...stavamo appunto dicendo che la prole deve nascere da individui nel fiore dell'età ... quando avranno superato l'età della procreazione, lasceranno gli uomini liberi di unirsi a chi vogliono...; la stessa cosa varrà anche per le donne ... comunque raccomanderemo loro di usare ogni precauzione per non concepire neppure un figlio, e, nel caso in cui il concepimento avvenga di non farlo nascere, e se dovesse nascere per forza, di trattarlo come se non potesse essere allevato".

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ARISTOTELE (STAGIRA 384- CALCIDE 322 a.e.v.)

Sostiene la liceità dell'aborto come mezzo di pianificazione familiare e di controllo della popolazione, purché eseguito prima che il prodotto del concepimento abbia raggiunto lo stadio di animale, cioè di essere vivente provvisto di sensibilità e capacità vitale propria.
Aristotele, Politica 1335 b, 19-26 : "quanto invece al numero dei figli , se la regola del costume vieta che alcuni dei nati venga esposto, bisogna fissare il massimo di procreazione. E se ad alcuni accoppiandosi avvenga di superarlo, prima che si generino sensibilità e vita occorre provocare l'aborto : lecito e illecito invero saranno determinati in base alla sensibilità e alla vita".
Aristotele, diversamente da Platone, ritiene che l'anima si sviluppi per tappe graduali, insieme al corpo. Pertanto, al momento del concepimento è presente soltanto l'anima vegetativa(o nutritiva), una sorta di forza naturale che permette al prodotto del concepimento di nutrirsi e crescere, come una pianta. Soltanto in un momento successivo si forma l'anima sensitiva, con il che il prodotto del concepimento si trasforma in essere vivente di tipo animale(zwon). De generatione animalium, 736a27b1: "...i gameti e i feti degli animali non sono meno vivi di quelli delle piante...è ovvio che possiedono l'anima vegatativa,...ma come si sviluppano acquistano anche l'anima sensitiva e così diventano animali".
In nessuna delle opere di Aristotele a noi pervenute è detto con precisione quale sia il momento in cui la sensibilità e la vita iniziano ad essere presenti nel feto. E' verosimile che, conoscendo gli studi empirici delle scuole mediche, facesse riferimento alla fase avanzata della gestazione(ultimo quadrimestre), perché è da quel momento che gli scritti medici danno al feto l'appellativo di paidìon("bambino"). Secondo altri, invece, il termine di liceità dell'aborto si dovrebbe evincere da un passo in cui si afferma che "l'interruzione di gravidanza è chiamata efflusso fino al 7° giorno, aborto fino al 40° ed è entro questo limite che viene distrutta la maggior parte dei feti" (Aristotele, Historia animalium 583b 11-23). Tuttavia, il 40° giorno negli scritti della scuole mediche segnava soltanto il termine in cui l'embrione inizia ad avere la forma di un corpo umano, con possibilità di discernere le singole membra, mentre l'animazione(di cui sarebbe indice il movimento) è connessa con lo stadio successivo.

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IPPOCRATE (COS 460 - LARISSA 375 a.e.v.)

Nel Perì physios paidiou fu il primo a parlare dell'embrione con un minimo di conoscenza empirica, dovuta alla pratica della dissezione e dell'osservazione degli aspetti anatomici di feti provenienti da aborti.
LO SVILUPPO DELL'EMBRIONE SECONDO IPPOCRATE- Nella fase iniziale(primi 6 giorni)l'embrione è ancora sperma che sta cercando di attecchire nell'utero. Dopo il sesto giorno inzia il processo di formazione del primordio di nuovo organismo, che impiega 40 giorni per la femmina, 30 per il maschio. Durante queso processo si delineano gli abbozzi della testa, degli arti, delle estremità e degli organi interni. Segue una fase ulteriore, in cui la forma delle membra diviene più netta, le ossa si induriscono, diventano visibili nervi e vene. Questo processo si conclude alla fine del 3° mese per il maschio, alla fine del 4° per la femmina. Dal 4° mese(per il maschio), dal 5°(per la femmina), inizia il movimento fetale. Ed è pertanto a questo stadio che si colloca l'inizio della vita animale.
L'ABORTO SECONDO IPPOCRATE- Nonostante la sua concezione del processo di formazione del nuovo essere umano abbia ispirato la dottrina aristotelica della liceità dell'aborto fino al momento in cui inzia la sensibilità e la vita(animale), Ippocrate è noto soprattutto per la clausola antiabortiva del cd giuramento, un codice deontologico che i medici che entravano nella sua scuola si impegnavano ad osservare. Il divieto di somministrare farmaci abortivi è da imputare all'ispirazione religiosa della scuola, i cui membri dovevano essere adepti di qualche culto templare misterico, per il quale l'aborto sarebbe stato un atto impuro e sacrilego. In effetti, la clausola antiabortiva è seguita dalla frase "pura e pia manterrò la mia vita e la mia professione". D'altro lato, però, lo stesso Ippocrate racconta di aver aiutato ad abortire una danzatrice-musicista nella fase iniziale della gestazione:
Perì phusios paidiou XIII,1: "...Ma narrerò come mai ho visto un prodotto di concepimento di 6 giorni. Un' amica di famiglia aveva una flautista di gran pregio, frequentata da uomini, che non doveva restare incinta, per non perdere valore. Aveva sentito la flautista ciò che le donne dicono fra loro: quando una sta per rimanere incinta il seme non esce, ma resta dentro; sentito questo, lo comprese, e sempre stava in guardia, e si accorse che il seme non le usciva, lo riferì alla padrona e il discorso giunse fino a me. Ed io, avendo udito, le consigliai di saltare fino alle natiche e già sette volte aveva saltato, quando il prodotto del concepimento cadde giù a terra e siprodusse rumore...Io dirò com'era: come se da un uovo crudo uno asportasse il guscio esterno e nella pellicola trasparisse l'umore che è all'interno. ... Inoltre, era rosso e sferico: alla membrana apparivano inerire fibre bianche e grosse, avvolte in un umore sanguigno denso e rosso...".
In ogni caso, è da notare, che la regola antiabortiva ippocratica non solo non aveva alcun valore vincolante sul piano legale, ma non era neppure seguita da tutti i medici. Sorano di Efeso(celebre medico greco che esercitò a Roma nel II secolo d.C.), per esempio, ne prende le distanze, scrivendo che soltanto alcuni medici "respingono gli abortivi richiamando la testimonianza di Ippocrate...e adducendo che è proprio della medicina conservare e salvare quel che la natura ha prodotto" (Sorano, Ginecologia I,9). Da questo passo, tra l'altro, si evince che alla base dell'atteggiamento antiabortista degli ippocratici non c'era il convincimento dell'aborto come soppressione di una vita umana, bensì dell'aborto come atto contro natura.

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foetum corrumpentia, ex Aspasia :-)

CLEOPATRA(II secolo e.v.) E ASPASIA(V-VI secolo e.v.?) MEDICHE

Sono due ostetriche greche, autrici di due lunghissime raccolte di ricette abortive. Il ricettario di Aspasia è trascritto nel Tetrabiblos di Aezio(medico greco della prima metà del VI secolo) e per questo deve essere di poco a lui anteriore, mentre quello di Cleopatra è tradito insieme all'opera ginecologica di Sorano di Efeso.

domenica 9 marzo 2008

EMBRIONE E ABORTO NELLA CULTURA GRECA 7



GALENO (PERGAMO 129- ROMA 200 e.v.)

Nel solco della tradizione ippocratica, nega che il feto possa essere considerato un essere umano prima del compimento del primo trimestre di gestazione.
Galeno, Eis to Ippocràtous perì throphès upomnema: "...il feto nel primo e secondo tempo, quando ha solo un certo abbozzo e come un adombramento di tutte le parti, non può in alcun modo esser detto animale (zwon), ma ha tutta la formazione come una pianta"
Si può dunque concludere che la tolleranza della civiltà greca nei confronti dell'aborto aveva basi razionali, scientifiche e umanistiche, fondandosi sulla consapevolezza, rafforzata dallo studio anatomistico, che l'embrione non è ancora un uomo, ma soltanto la materia da cui un uomo può formarsi.