domenica 24 febbraio 2008

BIBBIA E ABORTO

La Bibbia non dice nulla sull’aborto. La cosa è singolare perché l’aborto era invece menzionato nelle leggi di popoli vicini agli Ebrei come gli Assiri e i Sumeri. Nella Bibbia inoltre non c’è alcun riferimento che permette di mettere sullo stesso piano la vita intrauterina a quella di un essere umano già nato. Di conseguenza non si può affermare, se non arbitrariamente, che il quinto comandamento riguardi anche l’aborto. È vero piuttosto il contrario, infatti, secondo la Bibbia la nozione di persona umana è subordinata alla presenza del respiro, come dimostra Genesi 2:7 in cui si afferma che Dio formò l’uomo con la polvere di terra e solo dopo aver costruito il suo corpo, soffiò dentro le sue narici l’alito della vita e l’uomo diventò un essere vivente. Ezechiele 37:10 “ E lo spirito entrò in loro, ed essi ripresero vita”. Giona 6:63 “ E’ lo spirito che vivifica, la carne(da sola)è nulla”.
Del resto, il fatto che la Bibbia non assimili il feto alla persona umana si ricava molto chiaramente da Esodo 21:22-25. In esso, infatti, la perdita del feto equivale, per il marito, ad un danno materiale del quale deve essere indennizzato in maniera pecuniaria, mentre l’omicidio preterintenzionale della donna incinta, al contrario, è sanzionato con la pena capitale. Gli antiaborto spesso si appoggiano a quei versetti della Bibbia nei quali dio è evocato nel contesto della vita prenatale:
“Sei tu che mi hai tessuto nel seno di mia madre” (Ps 139:13)
“Prima di averti formato nel ventre di tua madre, io ti conoscevo” (Geremia, 1:5)
Ma questi versetti, in realtà, non evocano nient’altro che un Dio considerato onnisciente e creatore della vita che conosce gli uomini(la cui esistenza è stata da lui predisposta e programmata)prima ancora che essi esistano, prima del loro stesso concepimento, allo stesso modo in cui conosce le parole prima che siano state dette e gli avvenimenti prima che si producano. Da questi versetti dunque non si possono dedurre regole concernenti lo statuto dell’embrione e l’aborto.
È altresì significativo che i cristiani abbiano sempre considerato come giorno dell’incarnazione di Gesù non il giorno in cui a Maria fu annunciato l’inizio della sua iero-gestazione, ma bensì il giorno in cui Gesù fu partorito: come ha scritto Kurt Koch(vescovo di Bâ le) “On appelle Noë l la nuit de la naissance de Jesus Christ, où il est devenu homme”. Secondo alcuni è anche opportuno considerare che Maria sembra aver accettato liberamente la sua gravidanza. Se una nuova vita è un dono di Dio, un dono non può essere imposto. Rientra nella natura del dono la possibilità del destinatario di rifiutarlo, altrimenti non è un dono, ma un onere, non una benedizione, bensì una maledizione. Resta inoltre che è assolutamente disumano forzare la donna a figliare,trasformandola in uno strumento di riproduzione della specie.
Inoltre, in numerosi passi della Bibbia risulta il principio che è meglio non nascere che vivere nel dolore, nell’infelicità e nell’oppressione, ad es. Ecclesiaste 4:2-3. Così ancora in Ecclesiaste 6:3-5, e in Giobbe 10:18-19. Questi passi stanno a significare che almeno l’Antico Testamento non era insensibile al valore della qualità della vita. Del resto, anche nei Vangeli, Gesù in prima persona interviene per sanare le persone che si rivolgono a lui, per liberarle dai loro mali, dunque per migliorare la loro qualità di vita, ed è per questo che le persone lo seguono,non certo per essere storpiate o per vivere nella sofferenza e nell’umiliazione.
Poi c’è il passo di Luca 1:46 diretto contro i dottori della legge che interpretano le scritture in modo da caricare le persone di pesi insopportabili che essi stessi non si sognerebbero di toccare con un dito: la parola di Dio non può essere interpretata in modo da rendere oltremodo difficile e penosa la vita degli esseri umani.
Di recente gli anti-aborto amano citare,in maniera alquanto inappropriata e scorretta, a sostegno delle propria tesi un versetto di Matteo 18,10 in cui Gesù, riferendosi a bambini già nati, anzi anche piuttosto cresciuti(visto che li definisce come “credenti in lui”), sentenzia: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli”.
Insomma, ciò considerato, la rivendicazione di una legge contro l’aborto non trova nessun saldo fondamento nella Bibbia.
In realtà, l’aborto iniziò ad essere sistematicamente equiparato all’infanticidio o all’omicidio soltanto nelle opere degli apologisti cristiani: si trattava, per lo più, di autori di formazione ellenistica o romana(come Tertulliano), che avevano assorbito la preoccupazione pro-natalista presente nelle élites conservatrici romane preoccupate per la crisi demografica del loro popolo o le idee di filosofi che si rifacevano alla tradizione orfico-pitagorica attraverso le dottrine platoniche dell’anima. In altre parole, l’atteggiamento di ostilità all’aborto è, essenzialmente, il frutto dell’incontro accidentale tra tre elementi:
(a)l’autoritarismo romano e la politica demografica imperialistica
(b)il misticismo di derivazione orifico-pitagorica e il giudaismo ellenizzato sviluppatosi in Alessandria d’Egitto sotto l’influsso della filosofia platonica(sebbene Platone di per sé non risulti contrario all’aborto,né si esprima sullo status ontologico del concepito)
(c)il misticismo dei membri delle prime comunità cristiane e la loro ripugnanza verso tutte le pratiche pagane legate alla libera, consapevole e calcolata gestione del corpo,della sessualità e delle conseguenze di quest’ultima.
Infine, è da notare che nell’epoca in cui si formò la dottrina cristiana(I-V secolo e.v.) l’aborto non era visto come un bisogno legato alla salute, alla sicurezza e all’integrità fisica e psichica della donna. La funzione fondamentale,se non esclusiva,della donna nell’ambito della collettività era la procreazione: per questo motivo le donne venivano allevate, per questo motivo venivano prese e mantenute dai mariti o dalle famiglie di questi ultimi. In un sistema sociale del genere, una donna che abortisse veniva considerata come persona che veniva meno alla sua ragion d’essere all’interno della famiglia e della collettività. Una donna che abortisse, soprattutto se abortiva il concepito del proprio legittimo consorte, era equiparabile ad un uomo che venisse meno ai suoi doveri nei confronti dello Stato, ad esempio rifiutandosi di partecipare alla difesa militare della città o di svolgere uffici pubblici. La donna, infatti, non aveva altro compito verso la società che quello di procreare. Non vi era altro modo in cui poteva essere utile alla collettività. Quindi il suo comportamento abortivo non poteva che essere oggetto di riprovazione morale e non poteva che essere visto come la conseguenza di un’attitudine viziosa, in quanto si riteneva che per una donna onesta, che intrattenesse relazioni sessuali soltanto con il legittimo consorte, procreare il più grande numero di figli possibile, in modo da accrescere il potere e l’influenza della famiglia, fosse una cosa naturale e desiderabile. Negli autori antichi l’aborto non viene mai ricollegato all’esigenza della donna di gestire autonomamente la propria sfera riproduttiva, di decidere se e quando diventare genitore, un’idea di questo tipo era inconcepibile nella cultura antica e lo rimase per molti altri secoli ancora. L’aborto risultava sempre connesso con la necessità di eliminare il risultato di una colpa ,di una irregolarità nella condotta sessuale(principalmente adulterio)o alla condizione della prostituta. Il cristianesimo cattolico nella sua attitudine assolutamente anti-abortista si fa ancora portatore di questo arcaico retaggio che vede nella riproduzione non una scelta privata di natura affettiva, ma una funzione pubblica cui la donna deve essere sottomessa, anche contro ogni propria volontà e interesse, per il preteso bene della collettività e dello Stato.

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